Project Description

Città allo specchio
Di primo acchito le opere di Matteo Brivio Sforza si presentano come accattivanti e ben costruite fotografie che mostrano traslucide facciate di edifici contemporanei, incuranti della storia urbana del loro intorno e disseminati nelle principali città contemporanee. Ma questa impressione è ingannevole, perché a ben guardare si scopre come le sue immagini vadano oltre tali superfici riflettenti, che nascondono la vita dietro di loro per imporsi con un’omogeneità architettonica dimentica della storia. Ciò che preme infatti a Matteo Brivio Sforza è “ritrovare” il volto delle città, riflesso, a volte bizzarramente deformato, in queste moderne superfici specchianti. Il suo è un vedere di fronte a sé e al contempo dietro di sé, per scoprire cosa “vede” l’enigmatica costruzione che s’impone al suo sguardo. In altre parole, egli trasforma ogni sua immagine in una sorta di “doppio”, dove si fondono il qui e il là, il passato e presente, l’antico e moderno.
Operando in tal modo, l’autore sottolinea il contrasto tra tali edifici senza tempo e “senza luogo” e la città che li circonda con la sua presenza spesso densa di storia e vitalità. Simili a ologrammi impressionati su schermi riflettenti, le sue immagini colgono prospettive che ricordano le distorsioni ottiche dei magici disegni di Escher e offrono alla vista manufatti architettonici e momenti di vita cui non avremmo prestato attenzione. Quel che interessa di più all’autore è infatti l’incontro sconcertante tra simili edifici contemporanei, che s’impongono con forme magari accattivanti ma lontane da qualsiasi considerazione relativa al contesto urbano, e un paesaggio fatto di costruzioni caratterizzate invece per il loro radicamento nel territorio. Già ma quale territorio? Per impedire che il nostro sguardo si soffermi affascinato davanti a questi inattesi giochi di specchi, senza interrogarsi davvero sul dove, Matteo Brivio Sforza non ci offre informazioni certe riguardo al luogo da lui fotografato. I titoli delle sue opere risultano infatti ambigui, interrogativi, forse addirittura depistanti. Non scrive infatti “Dublino”, “Milano”, ma “Forse Dublino?”, “Forse Milano?”. Egli invita dunque a guardare con attenzione le costruzioni mostrate dalle sue immagini, affinché sia lo stesso spettatore a ritrovare in esse, oppure no, indizi e tracce che rivelino la loro appartenenza a questa o quella città d’Europa. Sono una sorta di indovinello che però evidenzia un problema delle metropoli contemporanee, rivelando come sempre di più la riconoscibilità dei luoghi urbani si sia fatta incerta o resista con fatica.
Gigliola Foschi